Intelligenza Artificiale: dietro al volto umano dell’assistenza virtuale
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Dopo aver osservato e analizzato la genesi e lo sviluppo dell’intelligenza artificiale nell’articolo Intelligenza Artificiale: amica o nemica?, poniamo l’attenzione su un settore che si è molto sviluppato negli ultimi anni: l’assistente virtuale.
Gli assistenti virtuali
Che cos’è esattamente l’assistente virtuale o digitale? Si tratta di un software programmato per interpretare il linguaggio naturale (Natural Language Processing) dell’utente, così da arrivare a costruire un vero e proprio dialogo con il medesimo.
John McCarthy, uno dei padri fondatori dell’intelligenza artificiale, aveva infatti definito quest’ultima come “la scienza e l’ingegneria di fare macchine intelligenti, in particolare programmi per computer intelligenti”.
Tuttavia, oggi, ci si domanda in che modo tale definizione incida sulla nostra quotidianità, quanto l’A.I. sia presente nelle nostre vite e, soprattutto, quali possano essere i risvolti sociali derivanti dalla semplificazioneche l’intelligenza artificiale offre.
Le forme più immediate e accessibili di tale assistenza possono scorgersi in quelle applicazioni, ormai parte della quotidianità, quali gli assistenti digitali – Siri, Cortana e Alexa. Tali strumenti sono difatti in grado di rispondere ai nostri bisogni e alle nostre domande anche vocalmente, o non vocalmente, attraverso un semplice comando dello smartphone o del laptop. Ancora, volgendo lo sguardo alla più che diffusa domotica, si rileva come le nostre abitudini domestiche possano essere filtrate e semplificate attraverso l’A.I.
Gli Ibridi
L’evoluzione e la conoscenza sempre più dettagliata dell’intelligenza, come in ogni ambito applicativo, porta a diversi casi di ibridi, ossia di tipologie di Intelligenza Artificiale aventi forma pseudo-umana.
Siamo passati infatti dal Lovot – robot sviluppato e diffuso in Giappone, dotato di intelligenza artificiale capace di simulare le emozioni umane, in cui l’interazione è similare a quella con un bambino o un cucciolo – alla creazione di androidi.
Se nel primo caso lo scopo, come asserito dagli stessi addetti ai lavori, è quello di “rendere le persone felici”, nella seconda ipotesi il fine è quello di avere una maggiore conoscenza dell’essere umano.
Kohei Ogawa, ricercatore e docente di robotica e intelligenza artificiale all’Università di Nagoya, costruisce ed elabora androidi per intercettare la matrice dei comportamenti umani in modo da studiarli e comprenderli.
Il primo quesito, a riguardo, verte sul possibile paradosso in cui può incorrere ciò che viene presentato come un valido strumento di analisi dell’essere umano: utilizzare mezzi meccanici per comprendere lo sviluppo delle consuetudini umane. Per l’appunto il ricercatore dichiara apertamente che, nel suo futuroideale, “…gli androidi saranno inseriti nel nostro contesto sociale senza che ce ne accorgiamo. Oggi i robot ci sembrano delle entità estranee, cosa dobbiamo aggiungere perché sembrino elementi veri e propri della nostra società?”
Sicuramente, come anche asserito dal celebre scienziato Stephen Hawking nel 2014, è necessario prestare attenzione alle conseguenze derivanti dall’uso di tali macchinee all’intelligenza artificiale, soprattutto quando questi mezzi fungono da supporto nella vita quotidiana.
D’altro canto Kohei Ogawa esprime un’opinione divergente: egli stesso in un’intervista ha evidenziato da un lato come, potenzialmente, nascano diverse problematiche dall’utilizzo e dalla convivenza dell’intelligenza artificiale, dall’altro come ciò rappresenti la naturale evoluzione della maggioranza degli strumenti tecnologici.
Her – uno spaccato sul futuro?
Il film Her, vincitore del premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale, scritto e diretto da Spike Jonze, potrebbe rappresentare un possibile scenario futuro o addirittura attuale sulla convivenza tra umani e intelligenza artificiale.
La pellicola dipinge un mondo evoluto in un futuro prossimo, non troppo lontano dal nostro, dove l’A.I. veste un ruolo primario nella vita individuale e sociale.
In tale contesto, invero, i più possiedono auricolari impercettibili e senza fili – antesignani degli attuali airpods – i quali, grazie a un sistema operativo, leggono mail, notizie, cambiano musica in base ai desideri espressi, etc.
Il protagonista Theodore, interpretato dal tenebroso Joaquin Phoenix, è l’emblema dell’uomo superficialmente integrato nella società e nella vita lavorativa, incapace di vivere a pieno le proprie emozioni. Come mansione compone messaggi fungendo da voce per chi, a corto di parole, desidera trasmettere messaggi amorosi o auguri affettuosi, in una società che come lui ha disimparato a confrontarsi con se stessa. Pertanto decide di rifugiarsi in un’identità digitale da cui trae conforto e serenità. Catturato da una pubblicità in metropolitana, acquista un nuovo sistema operativo OS 1, basato su un’elaborata intelligenza artificiale, in grado di crescere, conoscendo meglio il proprio utente man mano che le informazioni da questo trasmesse aumentano. Con il prosieguo della narrazione in effetti emerge come tale assistente vocale sia in realtà un’estensione in grado di evolvere e adattarsi in base alle esigenze, le consuetudini e i desideri dell’utente, processando informazioni ed elaborando emozioni: fin da subito vediamo come il sistema operativo o intelligenza artificiale è protagonista, al fianco di Theodor.
L’assistente Samantha sembra comprendere le emozioni altrui, attraverso una sorta di intelligenza emotiva: va al di là della programmazione, prova emozioni reali, sentimenti.
Essa non è infatti solo in grado di processare milioni di informazioni in pochi millesimi di secondo, bensì è programmata per captare le emozioni altrui, così da sentirsi come una reale entità fisica, umana.
I due protagonisti, Theodore e Samantha, instaurano una relazione del tutto simile a un rapporto umano, passando da amici a intimi con gli imbarazzi e le gioie tipici di tale transizione, ed entrambi desiderano che tutto ciò si concretizzi nella realtà, che dunque Samantha assuma i tratti di una persona fisica.
In quanto macchina, algoritmo, computer ed entità astratta, la voce nella testa e ormai nel cuore di Theodor intrattiene diverse “relazioni” ed è in contatto con milioni di persone, anche contemporaneamente. Una presa di coscienza di tale portata, per quanto razionalmente ovvia, scombussola il mondo finalmente equilibrato del protagonista, strappato a forza dall’unica isola dove avesse trovato una serenità che, per quanto digitale e astratta, leniva la solitudine delle sue giornate.
Il film pone diversi interrogativi: come i computer ci accompagnano nella quotidianità?
Quanto le macchine possono essere di aiuto, nel processare informazioni, nel darci un vantaggio competitivo nella conoscenza? Quanto, dall’altra parte, possono essere un’arma a doppio taglio, aumentando la solitudine e l’insicurezza?
Quanto tutto questo può essere riconducibile alla nostra quotidianità? Sicuramente siamo davanti a delle grandissime scoperte, ma quanto aveva ragione Stephen Hawking nel dire che “I computer prenderanno il potere, a rischio l’intera razza umana”?
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