Growth Hacking – Parte 1

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Il 2021 è partito con un buon proposito: leggere e approfondire un libro di marketing al mese!

Non so se sei come me, ma personalmente sono pieno di libri che ho comprato e che non ho avuto il “tempo” di leggere. Però quest’anno mi sono detto che non ha senso e che devo rimediare.

In queste vacanze, quindi, mi ha fatto compagnia un libro del 2017 di Raffaele Gaito – #Growth HackerMindset e strumenti per far crescere il tuo business.

Come tutti i buoni propositi anche questo poteva finire subito nel cassetto ma eccomi qui a raccontarvi ciò che ho compreso.

Ti lascio il link al sito di Raffaele che ritengo essere una guida su questa tematica. Seguilo perché è fortissimo oltre che molto simpatico!

Ma andiamo al dunque…quali sono i takeaways di questa ottima lettura?

Che cos'è il Growth Hacking?

Ci sono molti modi per definire questa metodologia (ops…è già una definizione), però direi che l’elemento fondante del growth hacking è il mindset, che potremmo tradurre con mentalità.

In questo caso ci si riferisce alla capacità del growth hacker di aprire la propria mente alle soluzioni più disparate, ma anche sapersi focalizzare sul problema senza mai perdere l’obiettivo principale: la crescita (growth in inglese).

Per dirla con le parole dell’autore: 

Senza girarci troppo intorno possiamo dire che il successo, spesso, si gioca sulla capacità di intuire la metrica più importante per il proprio prodotto, tenerla sotto controllo e prendere delle decisioni di conseguenza.

Ma cosa ci vuole per diventare un growth hacker? Innanzitutto bisogna essere curiosi e cercare di sviluppare il cosiddetto profilo a T.  Questo profilo considera sia le competenze verticali (specializzazione su alcune tematiche di riferimento come marketing, programmazione e product management) che lo sviluppo di competenze orizzontali, magari meno profonde, ma che ci permettono di saper approcciare i problemi con creatività.

Growth Hacking significa anche sapere interpretare i dati e prendere decisioni in base alle evidenze raccolte.

Terzo elemento, ma non meno importante, Growth Hacking significa sperimentare in continuazione diverse soluzioni al problema facendo tesoro delle proprie esperienze. Si predilige la quantità alla qualità, considerando il tempo una risorsa scarsa si abbandonano velocemente tutti gli esperimenti che non vanno a buon fine, focalizzandosi su quelli che ottengono risultati positivi.

Infine, tutto questo avviene facendo leva su quello che si ha già a disposizione, che mi sembra un punto di partenza molto realistico.

Dati, dati e ancora dati (e loro interpretazione)

Growth Hacking è un po’ il sinonimo di Data Driven Marketing.

Questo approccio risulta illuminante perché cambia un po’ il paradigma rispetto a come si possono prendere le decisioni in azienda. Deming diceva:

Senza dati sei solo un’altra persona con un’opinione in questa stanza.

Ma che tipo di dati ci servono?

Hard data o analisi quantitative: rispondono alla domanda “cosa sta succedendo?”. In pratica si tratta di tutti i dati che l’azienda riesce ad archiviare quindi analizzare (come ad esempio i dati provenienti dal CRM o dalla loro aggregazione, come ad esempio avviene per le DMP).

Soft data o analisi qualitative: permettono di affinare la nostra interpretazione dei dati attraverso interviste ai clienti, sondaggi, focus group e ricerche etnografiche fornendo degli elementi di contesto e aiutandoci a rispondere alla domanda: “perché sta succedendo?”

Prendere decisioni basandosi esclusivamente sui dati non è per nulla semplice o immediato. Bisogna sapere quali dati tenere sotto controllo, come leggere questi dati, quali conclusioni trarre da essi e quali decisioni intraprendere per correggerli, quando è necessario.

Ma prima di tutto bisogna capire dove si trova il problema.

Il Funnel del Pirata

Perché è importante il funnel? Perché dobbiamo capire dove si trova la radice del problema e per farlo ci serve una mappa che ci indichi quali sono le fasi del ciclo di vita del cliente su cui dobbiamo indagare.

Ti sarai chiest* perché “del Pirata”. Come vedrai dall’unione delle iniziali di ogni fase si ottiene AAARRR, espressione decisamente piratesca, che per chi come me ha giocato a Monkey Island ha un fascino decisamente senza tempo!

Noi di thekmarketing abbiamo già trattato il tema del funnel ma in questo caso le fasi sono un po’ diverse. Il funnel, essendo un framework  (modello teorico che ci aiuta nello schematizzare, semplificare e visualizzare le informazioni più o meno complesse), può adattarsi ai vari temi trattati e i vari modelli possono differire leggermente tra loro.

  • Awareness – l’utente scopre il prodotto
  • Acquisition – l’utente si iscrive
  • Activation – l’utente usa per la prima volta il prodotto
  • Retention – l’utente continua a usare il prodotto
  • Revenue – l’utente paga
  • Referral – l’utente ne invita altri

Come si può intuire ogni fase ha le sue peculiarità e quindi delle specifiche metriche di misurazione che ci permettono di porci le giuste domande e ipotizzare numerose soluzioni.

Inoltre è fondamentale comprendere che l’ordine delle fasi e le metriche collegate dipendono dal modello di business analizzato e dal settore.

Uno dei concetti chiave del growth hacking è di lavorare uno step alla volta! Concentrare tutta la propria attenzione e quella del proprio team su uno step specifico del funnel per migliorare al massimo le relative metriche e solo in un secondo momento spostarsi allo step successivo.

Le Metriche Fondamentali

Ci sono però alcune metriche che devono essere sempre considerate perché ci permettono di capire al volo lo scenario che stiamo analizzando. Questo non vuol dire che possiamo focalizzarci solo su queste metriche ma che dobbiamo tenerle sempre presenti insieme alla altre che abbiamo selezionato.

  • Customer Acquisition Cost (CAC): indica il costo di acquisizione di un utente. L’obiettivo è quello di ridurlo il più possibile.

CAC = Budget dedicato all’acquisizione/Numero di utenti acquisiti 

  • Life Time Value (LTV): indica il valore in termini economici ricavato da ogni cliente durante tutto il suo ciclo di vita. L’obiettivo è quello di aumentarlo.

LTV = Spesa media mensile degli utenti x numero di mesi che restano in customer base

Il rapporto tra CAC e LTV ci fornisce indicazioni sullo stato di salute del business

  • Churn rate: indica il tasso di abbandono dalla customer base o dall’utilizzo di un prodotto. L’obiettivo è quello di mantenerlo su un livello considerato fisiologico e non dannoso per il business.

Churn rate = (Utenti a inizio mese-utenti a fine mese)/Utenti a inizio mese

Ricordati che nel calcolo dei clienti a fine mese non devono rientrare i clienti acquisiti durante il mese. Il calcolo, infatti, deve considerare la coorte, in questo caso data da tutti i clienti presenti in customer base a inizio mese.

  • Average Revenue per User (Arpu) e le sue varianti – indica il valore economico medio di ogni cliente

ARPU = Ricavi totali/numero di clienti

ARPPU = Ricavi totali/numero di clienti paganti

ARPDAU = Ricavi totali giornalieri/numero di clienti attivi giornalieri

  • K- factor: è una metrica ereditata dal mondo epidemiologico con il quale si indica il fattore di diffusione di un virus (e purtroppo in questo momento siamo molto vicini a questi temi). In questo caso si utilizza la metrica per misurare la bontà di un programma di referral.

U= numero di utenti

I= numero di inviti inviati da ogni utente

A= percentuale di inviti accettati

K= U x I x A/100

Se K>1 allora il  programma sta avendo successo, viceversa se <1.

Come hai potuto notare queste metriche insistono o acquistano maggiore importanza in fasi differenti del ciclo di vita di un business e ci permettono di comprendere il quadro generale che sarà il punto di partenza per decidere su cosa focalizzare la nostra attenzione.

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